La Corte di Strasburgo accerta che la perquisizione ed il sequestro presso il Grande Oriente d’Italia avvenuti il primo marzo del 2017 costituivano una violazione dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che protegge il domicilio e la riservatezza. Aggiunge che il provvedimento era sproporzionato in quanto non vi era alcuna evidenza che la acquisizione di tanti dai cartacei e digitali fossero rilevanti ai fini della inchiesta della Commissione. L’ordine di perquisizione e sequestro non era stato soggetto ad alcuna previa verifica giudiziale e la motivazione del provvedimento era assolutamente generica non sussistendo “elementi che avrebbero potuto suffragare un ragionevole sospetto del coinvolgimento della Associazione nei fatti oggetto di indagine”. Anche l’ordine di perquisizione e sequestro erano assolutamente generici nel loro contenuto coprendo un periodo temporale vastissimo e l’intera sede del Grande Oriente d’Italia.
Infine la Corte europea ha stigmatizzato la circostanza che il Grande Oriente d’Itala non disponesse di alcun rimedio interno e che la invocata immunità del parlamento invocata dall’Italia richiede pur sempre la possibilità di “qualche forma di controllo ex ante o ex post da parte di una autorità indipendente quale garanzia essenziale contro interferenze arbitrarie dei pubblici poteri”. Interferenza permanente in quanto, osserva la sentenza, la documentazione sequestrata non è stata distrutta al termine della attività della Commissione.
La Corte di Strasburgo ha emesso questo dispositivo che rappresenta anche un monito per chi vorrebbe colpire il diritto di associazione: “Alla luce di quanto sopra riportato, ed in particolare della assenza di prove o di ragionevoli sospetti del coinvolgimenti nel fatti oggetto di indagine, idonei a giustificare il provvedimento (di perquisizione e sequestro), il suo contenuto ampio ed indeterminato, l’assenza di adeguate garanzie di riequilibrio, ed in particolare di un riesame indipendente e imparziale della misure contestate, la Corte conclude che essa “non era conforme a diritto”, né era “necessaria in una società democratica”. Su questa vicenda ho scritto un libretto, “C’è un giudice a Strasburgo”, che posso inviare gratuitamente a chi lo richiede all’indirizzo bisistefano@gmail.com
Scopri di più da Stefano Bisi
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Un commento a “C’è un giudice a Strasburgo”