“I giovani italiani che ogni anno si spostano all’estero, per continuare gli studi o per cercare lavoro in un altro Paese, erano 21 mila nel 2010, sono stati oltre 91.400 lo scorso anno”. Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera parla del tema dei bassi salari e spiega: “Non lasciano l’Italia perché non trovano lavoro, lavori se ne trovano, parecchi, ma sono lavori sempre più poveri. Tanti giovani emigrano alla ricerca, innanzitutto, di salari migliori. Non a caso l’emigrazione dei giovani ha accelerato dopo l’episodio di inflazione accesa dall’invasione russa dell’Ucraina nel 2022: in molti settori il potere d’acquisto dei salari non ha ancora ripreso quanto perso in quel breve periodo. Nello scorso triennio, 2022-24, le retribuzioni lorde nella fascia d’età 25-30 sono scese, al netto dell’inflazione e rispetto al decennio 2014-24, del 3,5%. Nella fascia 31-40 del 5%. Non è un problema solo dei giovani, loro almeno possono scegliere di emigrare. Il problema di retribuzioni più basse che nel resto d’Europa non è nemmeno una novità degli ultimi tre anni, né è un problema che riguarda solo alcuni settori. L’incapacità dei salari di tenere il passo con l’inflazione – sottolinea l’editorialista – dipende in gran parte da come funzionano i nostri contratti di lavoro. L’Italia è fatta di micro-imprese, oltre 4milioni di aziende hanno meno di 10 addetti. Nessuna di queste imprese può permettersi un contratto aziendale di secondo livello, per sua natura più flessibile: per loro esiste solo il contratto collettivo nazionale di settore. I contratti nazionali sono negoziati, per il settore privato fra Confindustria e sindacato, per il settore pubblico fra sindacato e Aran, un’Agenzia dello Stato. Il problema è che questi contratti non vengono mai rinnovati a scadenza, o vicino alla loro scadenza. Questi ritardi hanno due spiegazioni: per i contratti pubblici l’incentivo dei governi a rimandare i rinnovi e così alleggerire, almeno temporaneamente, la spesa pubblica. Per i privati abbassare, anche qui temporaneamente, ma due anni non sono pochi, il posto del lavoro sperando che il nuovo contratto non riesca a compensare, almeno non del tutto, i lavoratori. Anziché applaudire la crescita dell’occupazione il governo dovrebbe chiedersi se occupazione povera aiuta la produttività del Paese e la formazione di un capitale umano che poi alla prima occasione non emigri”.
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